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Lo spazio, la rigenerazione e il racconto

Il tema dello spazio e della rigenerazione degli spazi è un tema “topic” di questi ultimi tempi.

Vecchie case cantoniere, fari abbandonati, aree o edifici abbandonati o sottoutilizzati sono al centro di bandi e inviti a presentare progetti culturali o di recupero territoriale. Il Bando Culturability – rigenerare gli spazi ha scelto tra quasi 500, 15 progetti che partono dalla forza e dal valore della cultura e dell’innovazione sociale per dare nuova vita a piazze, condomini delle nostre città, a scuole chiuse o stabili delle ferrovie dimessi, a rimesse o caserme o addirittura a una miniera. Aver dato quest’anno al bando il tema degli spazi abbandonati o sottoutilizzati è centrale data la crescente disponibilità di spazi non solo per colpa della crisi, ma anche per i processi di cambiamento e trasformazione dei processi produttivi e delle città stesse. Questo processo di trasformazione dei luoghi incontra, però, ancora delle difficoltà di coordinamento, nella creazione di rapporti efficaci di partnership con il pubblico e la capacità di assicurare loro una effettiva sostenibilità economica nel tempo, soprattutto se le nuove destinazioni sono legate alle diverse proposte culturali, in quanto le istituzioni pubbliche – quasi sempre proprietarie dei beni da far rivivere –  dando lo spazio in comodato d’uso ritengono di aver assolto così il loro compito pubblico e di non essere più in “dovere” di sostenere la realtà nella propria progettualità. Questo aspetto apparentemente polemico, a mio avviso però, può essere letto anche come un’opportunità da parte di chi si occupa di progettualità culturale di trovare nuove soluzioni di business model che possano sostenere il mondo della cultura.

I nuovi spazi però non sono solo vecchi edifici abbandonati, ma sempre di più in Italia, così come all’estero, sono interi paesi. In Italia ci sono quasi 6000 borghi abbandonati; le principali cause di questi abbandoni sono epidemie, disastri ambientali, cause economiche, espropri. Questi borghi sono chiamati paesi fantasma, appellativo che deriva dall’inglese Ghost Town coniato da un giornalista svedese per descrivere la città cipriota di Varosha abbandonata in seguito all’invasione turca negli anni ’70.

Io mi sono imbattuta in uno di questi paesi fantasma: Craco, in provincia di Matera.

Craco, che sorge nella zona collinare che precede l’Appenino Lucano, è stato abbandonato dai suoi abitanti nel 1963 a causa di una frana di vaste dimensioni. Dominato dal castello e dalla torre normanna, è un luogo fantastico, scelto da numerosi registi, tra i quali Antonello Faretta che vi ha girato il film Montedoro. Questo film, di produzione indipendente, è ispirato alla storia vera dell’attrice protagonista: una donna americana di mezza età scopre inaspettatamente le proprie vere origini solo dopo la morte dei genitori. Profondamente scossa e in preda ad una vera e propria crisi di identità, decide di mettersi in viaggio, sperando di poter riabbracciare la madre naturale mai conosciuta.

Craco è ancora un paese fantasma. Ma ce ne altri che stanno rinascendo grazie all’impegno economico e sociale di alcuni imprenditori; uno di questi è Brunello Cucinelli che ha fatto rinascere il borgo di Solomeo, in provincia di Perugia. In questo borgo non sono state ristrutturate solo case e chiese, ma sono stati aperti anche un teatro e una scuola dei mestieri (dove si possono imparare: Rammendo e Rimaglio, Taglio e Confezione, Sartoria e Arti Murarie).

Io credo che potenzialmente siano questi i luoghi dove in futuro sarà importante (e sfidante) poter far fruttare il know-how della progettualità culturale, intesa come capacità di coniugare la lettura sociale di uno spazio con gli approcci e strumenti più adatti per stare al passo con le rapide trasformazioni della società di oggi. Io penso ad esempio che ingredienti come multiculturalità, sharing economy, downshifting, artigianalità, cohousing, progettazione partecipata siano quelli giusti per trovare nuove formule di vita gratificante in borghi nuovi anche per quelle persone (come me) che sono spaventate dall’essere lontani dal “tutto”, ma che hanno un gran desiderio di incidere diversamente nella vita dei propri figli, senza rinunciare alle ambizioni professionali.

Ultimo e importantissimo ingrediente del tema della rigenerazione degli spazi è il racconto. “La memoria collettiva finisce presto se non viene alimentata, rinnovata, coltivata” dice Vito Teti. Il racconto di cos’era un luogo aiuta anche a capire cosa può diventare, e raccontare cosa è diventato è importante per ricordare sempre l’origine di un nuovo progetto.

di Lea Maria Iandiorio

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